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La definizione storica dell’impact investing è quella di promuovere aziende che creano un impatto sociale misurabile e che generano un ritorno finanziario per l’investitore, in linea o inferiore alla performance del mercato: l’impact investing è tutto in questa espressione, anche se non è sempre facile definire gli esatti confini di un settore che negli ultimi anni è passato dall’essere un fenomeno di nicchia a una tendenza ormai di dimensioni globali.

Cresce il numero di coloro che dichiarano di appartenere al settore dell’impact investing

Nato all’inizio degli anni Duemila e a lungo considerato interessante dal punto di vista della discussione accademica, ma di fatto trascurato dal mondo finanziario, oggi l’impact investing deve fare i conti con le conseguenze del suo stesso successo concettuale.

Sono sempre di più, infatti, gli operatori finanziari che descrivono la loro attività come impact investing, attirati dalle prospettive di un ritorno d’immagine positivo. In particolare, vengono riposizionate sotto il marchio dell’impact investing molte attività tradizionali che non generano esternalità negative. Tutto questo sta creando non poca confusione.

L’importanza di un approccio “addizionalista”: la costruzione di soluzioni

L’impact investing è nato per portare capitali verso aziende che costruiscano soluzioni nuove e più efficaci a problemi sociali esistenti, e non risolti. Questo implica che si tratta di avviare nuove aziende che propongano nuovi modelli; quello che noi chiamiamo una visione “addizionalista”. Costruire tali soluzioni è impegnativo, spesso difficile, e richiede molta pazienza, e talvolta nelle fasi iniziali implica l’accettazione di una rinuncia parziale al ritorno finanziario per promuovere queste soluzioni.

L’obiettivo è quello di portare queste aziende, una volta superata la fase iniziale, ad essere aziende pienamente commerciali. Intorno a questa problematica si sta molto discutendo nel settore, e fuori dal settore, e noi riteniamo che mantenere questo spirito originario sia l’unica condizione per realizzare qualcosa di positivo per la società e non un semplice nuovo prodotto finanziario.

Un tentativo di fare maggiore chiarezza in questo settore si deve all’importante lavoro di Catalytic Capital e della Fondazione MacArthur, i quali hanno sottolineato a più riprese da un lato l’importanza dell’elemento differenziante rispetto all’attività tradizionale per quanto riguarda la soluzione adottata, e dall’altro la necessità di rimodulare le aspettative di un ritorno finanziario nel momento in cui si decidono di affrontare problemi sociali complessi. Almeno nella fase iniziale delle aziende. Ad esempio il nostro investimento nel Centro Medico Santagostino ha permesso lo sviluppo di una nuova soluzione accessibile per l’offerta medica ambulatoriale, che sta influenzando l’intero settore.

Alla luce di quanto scritto, non è inutile domandarsi se il valore globale degli investimenti di impatto – stimato oggi da realtà come The GIIN nell’ordine di 500 miliardi di dollari, per lo più sulla base di manifestazioni spontanee di adesione al settore dell’impact investing – non sia da considerarsi perlomeno sovrastimato, pur rimanendo lontano dall’esaurire tutto il suo potenziale.

Luciano Balbo
Presidente di Oltre Venture